martedì 31 maggio 2011

TIBET,LA STORIA DI UN GENOCIDIO CULTURALE

il 17 Novembre 1950, dopo l’invasione del Tibet da parte di 80.000 
soldati dell’Esercito di Liberazione Popolare, fu chiesto al Dalai Lama 
di assumere i pieni poteri politici come capo di Stato e di Governo. 
Nel 1954 si recò a Pechino per avviare un dialogo pacifico con Mao Tse- Tung
e altri leader cinesi. I suoi tentativi di soluzione pacifica del conflitto 
Sino-Tibetano furono vanificati dalla spietata politica perseguita da Pechino
nel Tibet, politica che scatenò la sollevazione popolare e la resistenza. 
La protesta si diffuse nelle altre regioni del paese. Il 10 marzo 1959 nella capitale, 
Lhasa, esplose la più grande dimostrazione della storia tibetana: 
i tibetani chiesero alla Cina di lasciare il Tibet.. 
La sollevazione nazionale tibetana fu brutalmente repressa dall’esercito cinese.
L’occupazione militare provocò la distruzione di oltre 6.000 monasteri,
 l’incendio di centinaia di biblioteche, il saccheggio di templi, 
la razzia di tesori religiosi e culturali, le esecuzioni sommarie
di decine di migliaia di tibetani.
Nel 1959 il Dalai Lama fugge in India dove ottiene asilo politico, 
seguito da circa 80.000 tibetani. 
Da allora vive a Dharamsala, nello stato indiano dell’Himachal Pradesh..
Nel 1987 dopo anni di silenzio riprendono le manifestazioni
di protesta contro l'occupazione cinese,
alle quali fa seguito la violenta repressione delle autorità di Pechino
che imporrà poi la legge marziale nel 1989 e nel 1990.
Nel 1989 Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama ottiene il premio Nobel per la Pace 
e prosegue la sua opera instancabile per sensibilizzare i governi del mondo 
sul dramma tibetano. Intanto il Tibet cambia radicalmente volto: 
la colonizzazione forzata di decine di migliaia di cinesi
ha alterato drasticamente l’equilibrio demografico, riducendo i tibetani
a minoranza nel loro paese; gli edifici religiosi sono oramai, 
a cominciare dal Potala, ridotti a semplici e vuoti musei; prosegue
senza sosta la deforestazione, la devastazione del delicato ecosistema tibetano, 
insieme alla localizzazione nell’altipiano di diverse discariche di rifiuti tossici e radioattivi.
L’intero Tibet sta per essere trasformato, con la forza, 
in un grande parco tematico della spiritualità a buon mercato, 
pronto ad accogliere frotte di turisti ai quali offrire paesaggi grandiosi
templi svuotati, karaoke a buon prezzo, indigeni in costume.
Intanto proseguono le violenze nei confronti dei monaci tibetani 
con arresti arbitrari, torture e violenze, nonostante la piena disponibilità 
al dialogo da parte del Dalai Lama. Ciò che è in atto oggi in Tibet 
è un vero e proprio genocidio culturale finalizzato a sradicare lingua,
cultura e tradizioni storiche tibetane.
L’assimilazione e il progetto di sradicamento dell’identità tibetana
hanno anche bisogno di gesti eclatanti, come l’arresto, 8 anni fa, 
del Panchen Lama, la seconda autorità religiosa del Tibet,
incarcerato all’età di 6 anni e da allora scomparso nella Cina totalitaria.
Nonostante tutto ciò la diaspora tibetana e la sua leadership 
rappresentano un’anomalia nella storia recente dei movimenti di liberazione.
Per intanto, da anni i tibetani in esilio eleggono democraticamente
il loro Parlamento e dal 2001 hanno votato, con l’elezione diretta, 
il Primo Ministro del Governo tibetano in esilio: il prof. Samdhong Rimpoche. 
Accanto alla formazione di organismi democratici e rappresentativi della diaspora, 
il Dalai Lama e la dirigenza tibetana hanno in modo sistematico optato 
per il rifiuto della lotta armata e per la scelta di forme di lotta pacifiche e non violente.

Gianni Vernetti

credo che in certi casi il ricorso alla lotta armata sia assolutamente legittimo
e doveroso, rimanere in tibet e lottare accanto ai suoi abitanti contro 
la tirannia cinese sia piu' onesto e coraggioso che fuggire in India

Ivano