giovedì 14 novembre 2013

IL RITORNO ALLA LIRA METTEREBBE IN CRISI LA GERMANIA

Molto spesso coloro che reputano insostenibile il ritorno alle monete nazionali paventano anche l’insostenibilità di poter sopportare le inevitabili ritorsioni economiche della Germania. Si tratta di una minaccia credibile?
Non c’è nulla di più falso. E’ negli interessi della Germania gestire l’eventuale uscita di un paese membro nel modo più lineare, regolare e tranquillo possibile. Nel caso di un deprezzamento fuori controllo della Lira, ad esempio, il più grande sconfitto sarebbe Berlino: le banche ed assicurazioni tedesche che hanno enormi investimenti in Italia sarebbero a rischio fallimento; ed inoltre, le industrie tedesche non potrebbero più competere con quelle italiane sui mercati globali. Sarebbe interesse primordiale della Bundesbank acquisire sui mercati valutari internazionali le lire, i franchi, pesos o dracme per impedirne un crollo. Si tratta di un punto molto importante da comprendere: nel caso in cui uno dei paesi meridionali dovesse decidere di lasciare il sistema in modo isolato, è nell’interesse dei paesi economici del nord Europa, in primis la Germania, impedire che la sua valuta sia fuori controllo e garantire una transizione lineare. Tutte le storie di terrore su eventuali disastri che leggiamo non hanno alcuna base economica. (vedi anche: “La Germania confessa: se uscite dall’euro di rovinate“).
In diversi suoi articoli recenti, Lei dichiara come la spinta al cambiamento arriverà dalla Francia. Quale sarà l’elemento che lo determinerà in concreto?
Con la disoccupazione che cresce a livelli non più controllabili, Hollande, che ha posto come suo obiettivo primario della sua presidenza quello dell’occupazione, ha perso ogni credibilità e sta arrivando al limite di sopportazione con l’Europa. Quello che sta accadendo oggi alla Francia è l’esatta riproposizione delle dinamiche economiche che il paese ha vissuto dal 1934 al 1936, quando con il Gold Standard il paese si trovava in una situazione di deflazione, disoccupazione di massa e non aveva gli strumenti per ripartire. I dati sono arrivati ad un livello insostenibile nella presidenza Laval nel 1935 ed ha determinato un cambiamento politico rivoluzionari nel 1936: la vittoria del Fronte Popolare. La Francia di oggi è in una situazione simile al 1935, con i dati economici che continuano a peggiorare di mese in mese, ed una svolta come quella del 1936 si avvicina. Basta vedere la tensione dei protestanti in Bretagna o i risultati crescenti del Fronte Nazionale per comprenderlo.
Sarà Le Pen ad imprimere questo cambiamento?
L’ascesa del Fronte Nazionale è incredibile, ma non penso che prenderà mai il potere. Quello che accadrà sarà però altrettanto rivoluzionario, in quanto costringerà gli altri partiti, soprattutto i gaullisti, a modificare la loro politica. Il programma di Le Pen è chiaro: uscita immediata dall’euro – con il Tesoro francese che proporrà un accordo con i creditori tedeschi, se questi non l’acceteranno la Francia tornerà lo stesso al franco e le perdite principali saranno per la Germania – e poi referendum sull’Ue sul modello inglese. Sono argomenti che incontrano la simpatia di un numero crescente di persone in modo trasversale e gli altri partiti non possono più ignorarli. Il Fronte Nazionale sta forzando gli altri partiti a cambiare la loro agenda e realizzare che non possono semplicemente avere la stessa opinione di Berlino e Bruxelles.
In molti paesi stiamo assistendo alla fusione dei partiti conservatori e socialisti a difesa dell’austerità di Bruxelles e contro le intenzioni di voto degli elettori. Il voto dei Parlamenti nazionali sulle leggi di stabilità ormai non conta più ed i governi aspettano solo l’approvazione della Commissione. Infine, i paesi si stanno indebitando per finanziare organizzazioni inter-governative come il Mes, che prenderà decisioni fondamentali per la vita delle popolazioni nei prossimi anni e non ha all’interno meccamismi di trasparenza e di controllo democratico. Ma cosa sta diventando l’Unione Europea?
La difficoltà oggi è quella di comprendere il perché la creazione dei vari strumenti di coesione federale decisi dall’Ue abbiano creato un sistema così disfunzionale. Il problema fondamentale è la mancanza del controllo delle imposte e della spesa da parte di un Parlamento eletto democraticamente. Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando il re ha cercato di togliere questi poteri al Parlamento o che la rivoluzione americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto da Londra a stati come Virginia o il Massachusetts, che lo esercitavano da tempo. Sono esempi anglosassoni, ma ce ne sono tanti altri di come le fondamenta della democrazia risiedono nel controllo del budget e delle imposte da parte di organi eletti dal popolo. Quello che sta accadendo all’Ue è, al contrario, il tentativo di darne la gestione a strumenti e strutture sovranazionali, che non hanno alcun fondamento con nessun Parlamento. E’ estremamente pericoloso e chiaramente anti-democratico. 
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