giovedì 17 luglio 2014

Le prepotenze della Germania segnano l’intera Europa


di Salvo Ardizzone
Di vincoli europei si parla continuamente, peccato che se ne tirino sempre in ballo alcuni e mai altri, quelli violati sistematicamente da chi pretende di dirigere le danze, la Germania.
Proviamo a fare un poco di chiarezza in ciò che lo è poco di suo: il tanto citato Fiscal Compact è un trattato che definisce vincoli sui conti pubblici; i principali, ripetuti come un mantra, sono: deficit di bilancio annuo inferiore al 3% e tendente allo zero; rapporto fra la massa del debito pubblico e il Pil (Prodotto Interno Lordo) da riportare almeno al 60% in vent’anni.
Su questo siamo stati e siamo martellati, ma oltre al Fiscal Compact c’è il Six Pack, che fa riferimento ai conti con l’estero e alle partite correnti; all’apparenza è un concetto oscuro, ma in fondo è semplice come il meccanismo dei vasi comunicanti. Se un Paese consuma più di quanto produce, attira beni e servizi dall’esterno e stimola la crescita degli altri (in questo caso si dice che è in disavanzo nelle partite correnti); viceversa, se consuma meno di quanto produce, manda i suoi beni e i suoi servizi a soddisfare la domanda degli altri e ne frena lo sviluppo (in tal caso si dice che è in avanzo nelle partite correnti).
Inoltre, nell’Eurozona, il Paese che è in avanzo, oltre che frenare lo sviluppo degli altri, crea un altro effetto: fa apprezzare la moneta, l’Euro appunto, che rappresenta economie diverse e diviene troppo forte per alcune (tipo Grecia, Spagna, Portogallo, Italia) frenando le loro esportazioni, ma rimane assai più debole per altre (essenzialmente la Germania e poche altre, giusto quelle del fronte del “rigore”) che di fatto scaricano una sorta di svalutazione competitiva (che incentiva ulteriormente le loro esportazioni) sulle spalle di chi è più debole.
Ma c’è molto di più: mentre il Paese che è in deficit, e aggiunge domanda al resto dell’Eurozona e al mondo, non può superare il 3% del Pil, chi invece succhia domanda all’Eurozona e al resto del mondo può farlo fino al 6% e per tre anni consecutivi (inutile dire che questa evidente asimmetria è stata voluta da Berlino e dai suoi scudieri del Nord).
Orbene, la Germania ha presentato un avanzo di partite correnti attorno al 7% del Pil già da cinque anni consecutivi e da due “dovrebbe” essere stata sanzionata. Ma abbiamo detto “dovrebbe”, perché a parte qualche timido richiamo, null’altro di concreto s’è fatto, mentre Berlino continua imperterrita per la sua strada, mostrando un avanzo sempre crescente: nel 2012 è stato di 236 Mld, di cui 77 verso l’Eurozona e 159 verso gli altri Paesi; nel 2013 di 248 Mld, di cui 60 verso la zona Euro e 188 fuori di essa; nel 2014 il trend vola verso i 280 Mld.
È uno squilibrio macroscopico, fonte di scompensi massicci quanto evidenti, che nessuno ha ritenuto di stigmatizzare chiamando chiaramente la Germania a rispondere delle sue lampanti responsabilità.
Vorremmo inoltre aggiungere e sottolineare, che c’è un’enorme differenza fra la situazione di un Paese chiamato a ridurre bruscamente deficit e debito pubblico, e quella di chi deve contenere un eccesso di partite correnti nei conti esteri: nel primo caso, secondo le ricette dei santoni del rigore (che poi sono gli stessi che lucrano sul meccanismo) vengono adottate politiche restrittive che aumentano le tasse, riducono le spese e rarefanno gli investimenti, imponendo ai cittadini a sacrifici spesso dolorosi, in uno scenario fatto di disoccupazione e fallimenti, che ha per sbocco la recessione e i costi sociali collegati che conosciamo anche troppo bene; nel secondo caso, si tratta di stimolare la domanda interna, inducendo i cittadini a consumare di più, tutto sommato a vivere meglio potendoselo permettere. Come si vede non è certo la stessa cosa.
È francamente assurdo che l’egoismo e le ottuse convinzioni di un Paese debbano segnare la vita di tanti Popoli. È incredibile, se purtroppo non fosse vero, che sia permesso a un Paese di spadroneggiare su un intero continente, libero di fare le regole che più gli convengono ed osservarle a proprio piacimento, gettando il peso del suo sviluppo sulle spalle di chi è più debole. Solo l’inettitudine, la superficialità e l’impreparazione di generazioni di classi politiche ha permesso che si realizzasse un simile sconcio.
Se vuole uscire fuori dal ghetto che le è stato preparato, l’Europa Mediterranea, ma tutta, deve individuare le proprie linee di sviluppo e cominciare una battaglia lunga e dura che non può permettersi di perdere.
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