venerdì 12 febbraio 2016

Con Schengen sospeso, la bomba dei migranti è pronta a scoppiare. Come la guerra totale in Siria



Schengen
Prepariamoci a essere inondati di bugie, perché stiamo per entrare nella fase più delicata dello scontro di potere che utilizza il Medio Oriente come campo da gioco. E, meglio dirlo subito, i presunti arbitri chiamati a regolare la partita non sono affatto imparziali. Partiamo dagli effetti collaterali dello scontro in atto, ovvero i profughi. Tre giorni fa la Commissione Europea ha redatto le raccomandazioni alla Grecia per evitare che a inizio estate ogni Stato membro agisca unilateralmente, ripristinando i controlli alle frontiere interne e decretando la fine di Schengen. Insomma, per l’Ue ci sono solo tre mesi per salvare il Trattato di libera circolazione e, di fatto, l’Unione stessa. Balle.
Interpellato a metà gennaio dalla Reuters, un funzionario tedesco sotto anonimato aveva dichiarato quanto segue: “Abbiamo tempo fino a marzo per trovare una soluzione europea. Dopo, Schengen finirà giù dallo scarico”. E ancora: “C’è un grosso rischio che la Germania chiuda i confini, la Merkel potrebbe cedere alle pressioni interne e ribaltare il suo approccio verso i migranti. A quel punto, addio Schengen. C’è la forte probabilità che il mese di febbraio sia l’inizio della conto alla rovescia verso la fine”. Guarda caso, è di ieri la notizia che gli inviati dell’Ue hanno trovato un accordo che avvicinerebbe la sospensione del Trattato per due anni. La fine è ormai a un passo. In Italia, però, si parla di coppie gay.
Insomma, la Germania – ancora scossa dalle violenze al capodanno di Colonia – sarebbe pronta a dire basta, dopo aver accolto 1,1 milioni di rifugiati lo scorso anno. Il problema è duplice: primo, Berlino non sarebbe la prima a scegliere questa strada, visto che Paesi scandinavi e Austria hanno già ripristinato i controlli alle frontiere. Secondo, questa tabella pubblicata dal Washington Post

mette in prospettiva la situazione, dandoci cifre che gli autorevoli media mainstrean nascondono: compara il numero di profughi arrivati in Europa dal primo gennaio al 7 febbraio di quest’anno con quelli arrivati dal primo gennaio al 28 febbraio dello scorso anno. Già ora la situazione è devastante ma con l’arrivo della bella stagione e il rischio di 600mila nuovi profughi in fuga da bombardamenti e combattimenti in Siria, il rischio è quello di una vera e propria invasione. Destinata a essere pagata sostanzialmente da Grecia, Italia e Balcani, visto che il resto d’Europa si prepara a chiudere le frontiere e la Turchia usa i rifugiati come merce di scambio per ottenere finanziamenti.

Tanto che ieri, inaspettatamente, l’ambasciatore turco presso l’Ue, Selim Yenel, ha rigettato la proposta avanzata dal governo olandese in base alla quale le nazioni europee avrebbero ridislocato su base volontaria 250mila profughi proveniente dalla Turchia ogni anno in cambio dell’impegno di Ankara nel chiudere le rotte marine che hanno portato centinaia di migliaia di migranti a imbarcarsi per raggiungere la Grecia. “Scordatevelo, queste richieste sono inaccettabile e non applicabili”, ha tuonato Yenel. Il ricatto migratorio è troppo ghiotto per Ankara per farselo portare via in cambio dei ricollocamenti.

E se sempre ieri la Nato ha dato il via libera al pattugliamento nell’Egeo al fine di evitare che gli scafisti trasportino rifugiati dalla Turchia alle coste greche, parlando a un evento dei giovani della Confindustria turca, il presidente Erdogan ha minacciato direttamente la Ue: “Se continuano i bombardamenti in Siria, ci saranno 600mila nuovi rifugiati. Quanti ne prenderanno le altre nazioni, 100, 500 e solo alcuni di loro? Non abbiamo scritto idiota sulla fronte, abbiamo tenuto duro ma la nostra pazienza è finita. Non pensino che i pullman e gli aerei siano qui per niente. Non appena le Nazioni Unite diranno alle altre nazioni di accettare i rifugiati, noi glieli spediremo”.
E che la Turchia sia pronta a tutto per barattare il proprio ruolo attivo nel contenimento dei migranti in cambio del tacito via libera per un intervento in Siria lo dimostra lo stato di tensione e isolamento in cui è precipitata Ankara, costretta a mantenere a terra la propria aviazione per evitare che il sistema russo S-400 vendichi il pilota ucciso sul finire dello scorso anno e, in subordine, che i SU-35 completino il lavoro. Di fatto, Mosca ha cacciato la Turchia dalla Siria, annientando la sua influenza sull’area e la recente offensiva delle truppe di Assad suona come un’umiliazione per il presidente Erdogan.

Ieri, poi, il colpo ulteriore: la leadership dei curdo-siriani, la stessa che l’inviato Onu, Staffan de Mistura, ha escluso dai negoziati di Ginevra, ha aperto il suo primo ufficio diplomatico all’estero e lo ha fatto a Mosca, preferendo la Russia sia agli Usa che all’Europa occidentale. Calcolando che Ankara ritiene il PYD curdo un affiliato al PKK, quindi un’organizzazione terroristica, non è difficile immaginare i disturbi epatici che stanno colpendo il governo turco.
Detto fatto, ieri è partita l’escalation. Nell’atto di lasciare il ministero degli Esteri francese dopo quaranta anni di carriera e fresco di nomima alla presidenza del Consiglio costituzionale , ieri Laurent Fabius è tornato ad accusare Bashar al Assad, lanciando cifre da istigazione all’intervento militare: “In Siria la situazione è drammatica perché Assad porta sulle spalle la responsabilità principale di 260mila morti. La metà della popolazione ha dovuto lasciare la propria casa”. Stando a calcoli del Syrian Centre for Policy Research (SCPR), citato dal Guardian, le persone morte o ferite a causa della guerra civile che insanguina la Siria da 5 anni sono ormai l’11,5% dell’intera popolazione siriana.

Stando al SCPR, i morti sarebbero saliti a 470.000, contro i 250.000 indicati finora dall’Onu. Ma non basta, tanto per far capire che aria comincia a tirare nelle cancellerie europee: “L’obiettivo è avere una Siria che sia libera, dove ognuno, qualunque sia la sua religione o etnia, possa sviluppare le proprie idee. Con Assad è quasi impossibile. E i russi bombardano la popolazione civile invece di bombardare Daesh”. Attenti, perché quando parla Laurent Fabius, parla la potente massoneria francese.

Sarà per questo che, casualmente, a stretto giro di posta l’ambasciatore russo a Parigi, Alexander Orlov, si è sentito in dovere di snocciolare i dati dei danni che le sanzioni contro Mosca stanno provocando all’economia francese: “Riferendoci al primo semestre del 2015, parliamo di 100 milioni di euro per il comparto dell’allevamento di suini, 50 milioni di euro per i produttori di frutta e verdura e oltre 109 milioni di euro per il settore lattiero-caseario. Pensiamo che le perdite totali potranno raggiungere parecchi miliardi e costare 160mila posti di lavoro”. Di più, nei primi tre trimestri del 2015, il commercio bilaterale è calato del 42% rispetto allo stesso periodo del 2014, scendendo a 7,5 miliardi di dollari. Guerra di nervi, totale.
Guarda caso, ieri è stata anche la giornata del grande scontro tra Russia contro Stati Uniti. A detta del portavoce del ministero russo della Difesa, Igor Konashenkov, infatti, jet statunitensi hanno effettuato attacchi aerei su Aleppo, in Siria, il 10 febbraio e poi hanno accusato Mosca per i raid: “Ieri alle 1,55 ora di Mosca, due aerei A-10 hanno lasciato il territorio della Turchia e sono entrati nello spazio aereo siriano, prendendo di mira le strutture di Aleppo”. Ma il portavoce del Pentagono, Steven Warren, ha invece dichiarato che aerei russi avrebbero bombardato due ospedali, sempre ad Aleppo.

“Affermazioni infondate contro la Russia, per deviare ogni sospetto da se stessi”, ha tuonato Konashenkov. Il tutto, dopo che un alto responsabile Usa aveva dichiarato che presunti raid russi intorno alla città siriana contro gruppi di opposizione e civili “favoriscono direttamente l’Isis”. Beh, in effetto gi americani di questo argomento ne sanno qualcosa, sono degli specialisti. Peccato che i jet dell’aeronautica militare russa tra il 4 febbraio e ieri abbiano effettuato 510 raid in Siria distruggendo 1888 strutture di gruppi terroristici nelle province di Aleppo, Latakia, Hama, Deir ez-Zor, Daraa, Homs, Al-Hasakah e Raqqah. Insomma, questi russi vanno fermati. E basterà poco, basterà una false flag fatta bene. I fronti aperti non mancano.
Primo dei quali, quello che vede contrapposti Arabia Saudita e Iran. Ieri, infatti, un portavoce del governo saudita ha dichiarato che la decisione di inviare truppe di terra in Siria nell’ambito della coalizione internazionale “è da considerasi finale”. Al netto della risposta poco diplomatica giunta già qualche giorno da Damasco (“Torneranno a casa nelle bare”), appare chiaro dal timing dell’annuncio che l’intenzione di Ryad sia quella di cercare di supportare i ribelli che stanno per essere sconfitti definitivamente ad Aleppo da Hezbollah e aviazione russa.

Un epilogo inaccettabile per i sauditi, non fosse altro per gli sforzi diplomatici e i miliardi di dollari spesi negli anni per finanziare e armare l’opposizione sunnita ad Assad: insomma, l’interesse di Ryad è anche quello della Turchia. Tanto che il Financial Times, non la Pravda, ha scritto che “pubblicamente Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein starebbero inviando truppe come rinforzo alla coalizione che sta combattendo l’Isis ma gli osservatori nella regione dicono che queste mosse sono coperture per un intervento di salvataggio verso i ribelli siriani”. E cosa succederebbe se le forze turche e saudite fossero dislocate sul confine nord-occidentale della Siria, quello che guarda la Turchia? Di fatto, sarebbero in campo operativo russo: un incubo per Usa e Ue, perché se per caso un soldato russo ne uccidesse uno turco, avrebbe ucciso un membro della Nato. Una bomba a mano senza spoletta, anche qual è la situazione attuale.

E a certificarlo, ci ha pensato sempre ieri un alto rappresentante dell’esercito iraniano intervistato da Al-Monitor. Ecco le sue parole: “Come potrebbe rapportarsi l’esercito siriano con una nazione straniere che entra sul suo suolo senza permesso e magari con l’intenzione di armare i ribelli? Sarebbe una forza di occupazione. E poi, i sauditi possono controllare il loro esercito. Chi ci garantisce che alcuni dei loro soldati non disertino e si uniscano all’Isis o ai ribelli? Alla fine condividono la stessa religione e ideologia e molti di loro sono già in contatto con l’Isis”. Ed ecco la conclusione: “I sauditi si stanno semplicemente mettendo in una pessima posizione che potrebbe avere una fine molto oscura. Ma la cosa peggiore è che le implicazioni non sarebbero solo per la regione ma per la pace mondiale”.
Tanto più che Iran e Arabia Saudita stanno già combattendo una proxy war in Yemen, conflitto che il prossimo marzo entrerà nel suo secondo anno di vita. E con numeri decisamente agghiaccianti. Nonostante Ryad sia a capo del comitato Onu per i diritti umani, scelta che di per sè giustificherebbe l’abbattimento del Palazzo di Vetro, un panel delle stesse Nazioni Unite composto da esperti sul finire di gennaio ha certificato come l’aviazione di Ryad abbia compiuto 119 missioni contro obiettivi civili, di fatto una pratica che è divenuta sistematica.

Nelle 51 pagine di rapporto, di cui nessum media sussidiato italiano ha parlato, si denunciano chiare violazioni delle leggi umanitarie e raid contro campi profughi, ospedali, aree residenziali, mercati, fabbriche, moschee, scuole ma anche autobus, veicoli civili e banchetti nuziali, senza scordare infrastruttire come l’aeroporto di Sana’a e il porto di Hudaydah. Il panel, inoltre, ha documentato casi di civili sfuggiti alle bombe che sono stati finiti da colpi di mitragliatore sparati dagli elicotteri. Insomma, dei macellai. Armati però da noi, come ci mostra questa tabella del Guardian,

dalla quale si scopre che nei primi nove mesi del 2015 la Gran Bretagna ha venduto armi a Ryad per un totale di 2,95 miliardi di dollari e di 7 miliardi da quando David Cameron è arrivato a Downing Street, inclusi contratti per la fornitura di 72 jet Eurofighter Typhoon. Senza contare poi gli alleati storici, ovvero gli Usa, il cui Dipartimento di Stato lo scorso dicembre ha approvato vendite di armi per 1,29 miliardi, compresi 13mila ordigni a guida di precisione. Magari qualcuno al prossimo banchetto di nozze si salva, almeno… Comodo dare la colpa di tutto ai russi, vero?
Fonte
http://www.rischiocalcolato.it/2016/02/schengen-sospeso-la-bomba-dei-migranti-pronta-scoppiare-la-guerra-totale-siria.html

http://altrarealta.blogspot.it/