domenica 15 ottobre 2017

CAZZO CHE SCANDALO !

Sesso e Hollywood, niente di meglio per distrarre (a orologeria) un popolo di beoti dalla dura realtà

Non starò ad entrare nei dettagli della vicenda, visto che tutti i media stanno trattandola con la dovizia di particolari che si riserverebbe all’omicidio Kennedy. Vi basti sapere che, udite udite, mezzo mondo è sconvolto perché, in quel paradiso della morigeratezza dei costumi che risponde al nome di Hollywood, esisterebbe un produttore potentissimo ed erotomane che negli ultimi 25 anni si è scopato anche i comodini, garantendo ai suddetti dei ruoli più o meno prestigiosi in pellicole più o meno di successo, proprio grazie alla loro inclinazione a darla via e tacere. Cazzo, che scandalo! E chi lo avrebbe mai immaginato!? Ovvero, ciò che è norma da sempre anche nelle tv private di provincia, quelle che dalle 23 alternano spogliarelli a vendite di busti per sofferenti d’ernia, avrebbe dovuto vedere Hollywood esente e virginale eccezione?
Ma andate a cagare sulle ortiche, come si dice dalla mie parti. La questione grave, per quanto riguarda il caso in questione, è che Harvey Weinstein non solo sarebbe stato un predatore seriale ma anche – e soprattutto – colpevole in alcuni casi di stupro, uno di questi riguardante negli anni Novanta anche Asia Argento, la cui memoria è tornata miracolosamente a funzionare proprio ora a scandalo esploso (in tal caso, il vero mistero è come Asia Argento non solo possa recitare ma anche trovare qualcuno che la voglia concupire). E qui, fermi tutti: la violenza carnale è un reato odioso e se è stato commesso, il nostro Weinstein deve pagare. Ma ecco l’effetto collaterale:

1/ We see voices being silenced on Twitter every day. We’ve been working to counteract this for the past 2 years.

— jack (@jack) 14 ottobre 2017

“Combattiamo da due anni”, così il Ceo di Twitter, Jack Dorsey, ieri è tornato alla carica contro la violenza sul social network, promettendo nuove regole stringenti per mettere a tacere una volta per tutte l’hate speech che dilaga sul web. E la ratifica dell’impegno di Twitter contro i messaggi che incitano all’odio è arrivata proprio all’indomani dell’episodio che ha visto protagonista l’attrice Rose McGowan, a cui è stato temporamente sospeso l’account Twitter dopo un post di accusa a Weinstein. Dopo la denuncia dell’attrice e l’atto di boicottaggio contro il social di un gruppo di utenti donne a sostegno di McGowan, l’account è stato ripristinato. Le nuove regole per l’hate speech saranno annunciate la prossima settimana e, dice Dorsey, entreranno in vigore a breve. E vai con un altro bel giro di censura politically correct, applaudito in mondo visione in nome della lotta alla violenza sulle donne. E poco fa, la conferma: Weinstein è stato cacciato anche dalla Academy degli Oscar. Ora manca che gli tolgano la Fidaty Card dell’Esselunga e siamo a posto.

7/ New rules around: unwanted sexual advances, non-consensual nudity, hate symbols, violent groups, and tweets that glorifies violence.

— jack (@jack) 14 ottobre 2017

Due cose, poi, fanno pensare. Primo, l’utilizzo di massa di acutil fosforo che si è registrato sulla West Coast, fulmineo e devastante come gli incendi nella Napa Valley. Parte una denuncia riferita a fatti di anni e anni fa e, boom, mezza America che ha calcato i palcoscenici o ci ha provato è stata insidiata da Weinstein. Di più, nell’arco di un giorno e senza che queste accuse siano state comprovate, tutto il Paese che conta, ovvero chi fino al giorno prima lo trattava come Re Mida e gli leccava il culo, lo scarica senza pietà, bollandolo certamente come un mostro. In primis, guarda caso, i big del Partito Democratico, di cui Weinstein era munifico e ben gradito sostenitore, oltre che membro della potente lobby ebraica.
Il più classico caso di caduta rovinosa dalle stelle alle stalle, senza che alcuna giuria abbia ancora emesso una sentenza: a sua parziale difesa, Oliver Stone e Quentin Tarantino. Per il resto, peggio dell’Inquisizione spagnola. Secondo, dando un’occhiata al timing, l’effetto Strauss-Khan 2.0 dell’intera vicenda. Ripeto, al netto che per ogni produttore maiale ci sono almeno 10 aspiranti attrici senza remore pronte a concedersi senza doverselo nemmeno far chiedere, appare davvero strana questa epidemia di concupite che saltano fuori dal niente come funghi a decenni di distanza dalle presunte molestie. Qualcuno voleva farla pagare a Weinstein per qualcosa e il momento della vendetta è arrivato, magari in contemporanea con un cambio degli equilibri di potere a Hollywood che l’ha reso possibile?

Può essere, ovvio, l’ambientino non è certo quello di una parrocchia. D’altronde, accadde così – con le debite differenze – anche all’ex capo dell’FMI, Dominique Strauss-Khan, il quale pagò molto caro l’aver osato parlare, alla fine del suo mandato, della necessità temporale di un basket di valute globali come nuovo benchmark al posto del dollaro. Casualmente, un uomo potente e in grado di avere ciò che vuole, avrebbe deciso di stuprare una cameriera di colore in un albergo newyorchese. Di più, la stessa appariva una sorta di Mike Tyson in gonnella, mentre Strauss-Khan certamente non è un adone.
Non importa, nonostante apparisse chiaramente poco credibile sia la dinamica, sia il fatto che un personaggio simile avesse bisogno di stuprare una cameriera se colto dalla fregola, furono scandalo globale, pubblico ludibrio e manette. Salvo poi, finire tutto in una bolla si sapone. Titoli per le accuse? Un miliardo. Parziale riammissione al genere umano? Pressoché silente. Si tratta anche questa volta del classico “sbatti il mostro in prima pagina”? Temo di sì ma non per colpire Weinstein personalmente, lui è solo l’accelerante dell’incendio doloso. E un danno collaterale della rivoluzione in atto nella comunità ebraica USA. Partiamo da principio, magari da questi grafici:
i quali ci mostrano che il pubblico televisivo a pagamento negli USA è in netto calo, così come i titoli delle principali emittenti. Cosa vuol dire? Uno, la favolosa ripesa economica USA non è tale se si taglia, a questo ritmo, beni sì voluttuari ma da poche decine di dollari al mese, non certo spese pazze. Due, forse anche la credulona audience statunitense ne ha piene le palle di farsi prendere per il culo da canali pieni di film e telefilm idioti ma, soprattutto, da notiziari da fare invidia all’Istituto Luce. Quindi, per scatenare la cortina fumogena serviva qualcosa di forte, il mix più potente a livello sociale che non contempli lo sport, comunque tirato in mezzo dallo scandalo sull’inno nazionale.
E cosa c’è di meglio se non Hollywood e tanto, tanto sesso sporco? In effetti, il Paese non parla d’altro. Non parla della delirante campagna anti-iraniana lanciata da Trump (Teheran, a suo dire, sarebbe alla base della nascita di Al Qaeda), non parla della tensione sempre crescente con la Russia, tra sistemi missilistici NATO in Romania e l’obbligo di togliere le bandiere russe dall’ambasciata di San Francisco che ha fatto andare su tutte le furie Serghei Lavrov.

O, magari, tette e culi in ordine sparso e tocchicciate dal maialone potente di turno eviteranno che l’americano medio scopra questo:
cioè che, nel silenzio totale dei media, in Afghanistan gli USA sono in modalità combat come non si vedeva da anni. Il comparto bellico-industriale chiama e il Pentagono risponde. Lontano dai riflettori, però. E che dire dei continui morti civili nei raid USA in Siria al fine di distruggere covi e avamposti che potrebbero contenere materiale compromettente? Siamo al livello di oltre 200 alla settimana, tanto che Damasco ha chiesto ufficialmente la loro sospensione e Mosca un’inchiesta indipendente sul ruolo USA a Deir ez-Zor e nell’attacco chimico dello scorso aprile a Idlib. Stranamente, poi, è di oggi la notizia che nelle fasi finali della riconquista di Raqqa, uomini dell’ISIS si sarebbero arresi a miliziani ribelli siriani, i quali li avrebbero fatti prigionieri: le telecamere occidentali si avvicinano per testimoniare la liberazione della città martire, quindi Al-Nusra e soci hanno bisogno di una ripulita al curriculum. Come Weinstein, anche l’ISIS è stato abbandonato da tutti. Infine, alla luce di questo,
è meglio regalare all’americano medio torbide storie di set cinematografici e molestie o il fatto che i millennials statunitensi non siano mai stati così indebitati, creando di fatto una bomba ad orologeria nel già traballante impianto economico degli USA, costretto a utilizzare i danni degli uragani per evitare il lockdown sul tetto di debito?

E tornando a parlare di ISIS e doppiogiochismo, ecco dove entra in campo la figura di Weinstein come vittima perfetta. Se infatti il suo profilo di famosissimo e potentissimo produttore hollywoodiano garantisce appeal globale alla storia, è il suo essere eminente membro dell’ala liberal della lobby ebraica a fornire l’effetto collaterale favorevole a neo-con e falchi di Tel Aviv alla ricerca di riposizionamento. Se ovviamente il ritiro contemporaneo di USA e Israele dall’UNESCO è stato un segnale abbastanza chiaro di netta svolta anti-araba e anti-palestinese, ecco che l’altro giorno il canale israeliano Channel 2 ha mandato in onda un filmato che mostra un campo dell’ISIS proprio ai confini con lo Stato ebraico, sulle Alture del Golan.
Come dire, se stanno lassù in pace e tranquillità, qualcosa che non funziona in Israele e, soprattutto, nell’amministrazione Netanyahu, c’è di sicuro. E, a vostro modo di vedere, se non ci fosse un doppio fine e una palese volontà di bruciare politicamente qualcuno per ottenere una svolta dichiaratamente di destra che sostenga la lotta a Iran ed Hezbollah da combattere al fianco degli USA, quel filmato sarebbe uscito? Proprio ora e su una delle televisioni più viste in assoluto in Israele? La lobby ebraica sta riorganizzandosi e ai massimi livelli, l’ala liberal – come l’ISIS – non serve più. Anzi, va sputtanata per benino. La svolta è dietro l’angolo ed è svolta di guerra. Per questo, al popolo più beota del mondo va servita una storia che lo appassioni e lo distragga. Wag the dog, la solita vecchia ricetta.

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